Non c’entra solo Palazzo Ducale: il centrodestra non ha una politica culturale.

Uscito su il Giornale del Piemonte e della Liguria

(2 luglio 2020)

Sta facendo discutere lo “scontro” tra il sindaco Marco Bucci e i vertici di Palazzo Ducale. Non entro nello specifico della vicenda: apprezzo la libertà di pensiero di Luca Bizzarri, riconosco la preparazione di Serena Bertolucci, concordo sul fatto che il Sindaco abbia il dovere di “rendere conto alla città di tutti i soldi pubblici che vengono investiti”e che è sacrosanto che “chi riceve denaro pubblico deve presentare il rendiconto”.

L’intervista di Monica Bottino a Giuseppe Marcenaro, però, è una ferita aperta sulla carne viva del Centrodestra: con pacatezza e lucidità il noto giornalista, scrittore e chi più ne ha più ne metta, non usa mezzi termini e dà sentenze, vere, sullo stato comatoso delle politiche culturali cittadine.

Quando sostiene che “la visione della cultura qui è cambiata. Sembra che conti più la presentazione dell’evento dell’evento stesso. Essere social è meglio che essere”: dice verità che sono sotto gli occhi di tutti e che non dovrebbero offendere nessuno, dal momento che questa è stata, scientemente, la strada che si è deciso di percorrere. Un esempio su tutti è quello dello scivolo per festeggiare i 70 anni di Costa Crociere: nulla di male, ma la cultura è altro e raramente coincide o si sposa con la promozione della città, il marketing e il turismo. La cultura non sempre monetizza: a volte sì, a volte no: certo non può essere questo il metro di valutazione cui deve sottostare. I grandi signori del passato spesero un sacco di soldi per accaparrarsi le prestazioni dei migliori artisti; non dovevano fare i conti con le asfittiche casse delle odierne amministrazioni comunali, ma senza quel profluvio di soldi spesi spesso solo per vanità personale l’Italia non sarebbe quello che è.

Andrea Marcenaro indica anche la “strada del successo”: “una grande mostra nasce da una grande idea […] noi non abbiamo mai importato mostre”“il sindaco Pericu aveva una visione molto profonda della Cultura”. Chi è permaloso può offendersi, chi vuole trarne insegnamento si ferma, interiorizza e agisce.

Nessuno di noi se la deve prendere, bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare e c’è una via lungo la quale farlo, quella che mette al centro dell’azione politica la cultura, perché laddove non c’è una politica culturale non c’è nemmeno Politica. Per oltre settant’anni la sinistra si è accaparrata il controllo di tutti gli enti promotori di cultura, un fatto che ha come ovvia ricaduta – ma con performanceslentissime e non quantificabili economicamente – il consenso elettorale, che nasce in chi, a forza di battere il ferro, finisce per pensarla come te, darti ragione, accondiscendere. Accade perché così martellano le radio, così passa nelle pubblicità, così viene detto, spiegato, ribadito… e poi richiesto nella aule scolastiche e universitarie; perché il cinema parla quel linguaggio, le mostre parlano quel linguaggio, l’editoria parla quel linguaggio. Un lavoro enorme, immenso, ciclopico: anni e anni di programmazione, durante i quali “non si molla niente all’avversario politico”, perché anche il Festival teatrale di Barcellona Pozzo di Gotto è “politico”! E perché il consenso politico, intorno a un’idea o a una persona, è – da sempre – mediato dall’arte.

A noi questo non sembra interessare: ci affidiamo a persone che non si riconoscono nei nostri valori, facciamo fatica a individuare quali siano i nostri intellettuali (passati e presenti) di riferimento, non sappiamo coinvolgerli né, men che meno, gratificarli e continuiamo ad avere un senso di sudditanza spaventoso e irragionevole nei confronti dei maitre a penserdella sinistra, che si beano di darci degli ignoranti e dei “villani rinciviliti”!

La questione di quanto siano “allineati” con il governatore Toti e il sindaco Bucci i vertici di palazzo Ducale è mal posto. Era un problema che nemmeno si sarebbe dovuto porre o che, eventualmente, si sarebbe dovuto risolvere ab initio. Coloro che guidano gli enti culturali dovrebbero essere naturaliterlegati ai vertici politici, perché ne sono la cassa di risonanza. Devono essere gli ispiratori prima e i vettori poi delle politiche, di tutte le politiche, della Giunta che guida la città. Ma pensate forse che Ottaviano avesse dei problemi a intendersi con Mecenate? Si capivano al volo: c’era un’idemsentire che non aveva bisogno di troppe parole né di troppi confronti. Era un’amicizia che aveva obiettivi comuni e Ottaviano, che pure era Ottaviano, sapeva benissimo di aver bisogno di Mecenate, perché non conta solo fare e saper fare, ma anche prima progettare e poi comunicare ciò che si è fatto! In questo senso l’Ara Pacis è il monumento per eccellenza, nel quale ogni singolo colpo di scalpello veicola un’idea politica, pensata da Mecenate, attuata da Ottaviano, comunque condivisa.

Un esempio: “La storia in piazza” è un evento importante, che merita attenzione: è stato fatto qualche sforzo per cercare una tematica cara alla nostra parte politica? Si sono individuati relatori che abbiano alle spalle un curriculum studiorumriferibile alle idee della destra liberale? Possibile che non ci si potesse rivolgere altro che a Franco Cardini e Luciano Canfora, studiosi certamente insigni, ma altrettanto certamente per nulla benevoli verso la nostra cultura? 

Bisognerebbe capire, una volta per tutte, che una manifestazione culturale che realizzi un grande successo di pubblico, si trasforma in una cocente sconfitta se, nel corso di quella manifestazione, si è agito – come spesso accade – senza non dico attaccare la cultura del mondo liberale, ma anche solo fare come se non esistesse. 

3 Luglio 2020 by: Commenta -
Permalink


Lascia un commento