Non è la “mia” Genova, al limite sono i “miei “Genovesi… E nemmeno tutti!

(3 gennaio 2022)

Quale sarebbe stata l’impostazione della puntata su Genova di “Città segrete”, programma condotto su Rai 3 da Corrado Augias, è stato chiarissimo fin dall’inizio. Venti minuti abbondanti di pippotto agiografico su Fabrizio De André hanno dato l’avvio al racconto di una città con duemila anni di storia, che annovera tra i suoi figli molti e illustri personaggi di statura più che europea. Eppure De André sopravanza anche Andrea d’Oria, che gli è secondo e che evidentemente è, agli occhi di Augias, meno rappresentativo del carattere e della grandezza di Genova.

D’altra parte questa mania di affidare il racconto della città e della sua anima a chi con la stessa ha poco o nulla a che spartire era già accaduto con #sotuttoio Angela, il figlio di Piero, che – se non altro – aveva qua e là lasciato la parola ad altri.

In ogni caso, quello che maggiormente stona, è il titolo della trasmissione… Non poco: un titolo sbagliato un tempo pregiudicava pesantemente la possibilità di prendere un buon voto alla prova scritta di Maturità, il tema fatto in stile “articolo di giornale”. Augias – se tutto va bene – non ha raccontato Genova, ma i Genovesi, o meglio, alcuni Genovesi.

Di questo dovremmo maggiormente essere indignati: capisco bene la necessità di creare interesse, suscitare scalpore, non ripercorrere le strade già battute da altri, andare in cerca di qualche novità stuzzicante: sono tutte “buone intenzioni”, ma, come è noto, la via dell’Inferno ne è lastricata.

Insomma, chi avesse sentito parlare di Genova ieri per la prima volta saprebbe che i suoi uomini e le sue donne di maggior prestigio, chi è in qualche modo specchio della città, chi meglio ne rivela l’anima, “contorta e ritorta come il tronco di un ulivo (cit. Vito Elio Petrucci)” risponde agli altisonanti nomi di Fabrizio De André, Paolo Villaggio, Moana Pozzi oltre che a quelli “meno” blasonati di Andrea d’Oria, Guido Rossa e Giuseppe Mazzini, forse il più grande di tutti, per altezza di pensiero e per risolutezza nell’azione. Tutto questo con buona pace di Benedetto Zaccaria, Guglielmo Embriàco (sic!), Valerio Castello, Giuseppe Siri, Eugenio Montale, Edoardo Sanguineti… tanto per citare i primi che balzano alla mente.

Belli mi sono sembrati i ritratti di Niccolò Paganini, Goffredo Mameli e Nino Bixio: il primo giustamente ricordato come avanguardistica “icona pop”, un momento nel quale sarebbe forse stato giusto citare la mostra di Palazzo Ducale “Paganini rockstar: incandescente come Jimi Hendrix”, benché la stessa non sia stata il successo sperato, i secondi due anime fiammeggianti del nostro Risorgimento nazionale, per il quale la città pagò un prezzo altissimo.

Che dire, però, dell’indegna omissione del ricordo di Cristoforo Colombo? Questo viscido inchino al politicamente corretto, alla vergognosa dittatura della “politica della cancellazione”, alla rimozione dalla memoria storica di determinati fatti o alla loro “nuova” vomitevole rilettura, della quale la Chiesa e  Francesco I sono tra i principali campioni è l’esatta immagine del conduttore Augias. Com’è possibile non citare nemmeno di sfuggita il nome di Cristoforo Colombo? Abbiate pazienza, ma non credo che Augias volesse metterne in dubbio la “genovesità”, quanto piuttosto che abbia ritenuto conveniente soprassedere del tutto sulla sua impresa, proprio perché oggi denigrata e criminalizzata oltre ogni ragionevolezza. Questo avviene quando uno desidera rileggere la storia a proprio uso e consumo invece di studiarla e raccontarla sic et simpliciter. Come sarebbe stato bello e giusto glorificare il nome di Colombo, riconoscerne la grandezza, la perizia marinara, farne appunto – nella sua corretta collocazione storica – la più schietta immagine del Genovese! Ricordare, in apertura di trasmissione, il famoso detto “Tanti sun li Zenoexi, e per lo mondo si destexi, che unde li van o stan un’altra Zena ge fan” serve a poco se poi non si rimarca che questo è stato vero nel medioevo, nell’età moderna, nella storia contemporanea. L’angustia del nostro territorio, l’affacciarci sul mare, hanno scolpito il carattere dei Genovesi, che non hanno mai avuto paura dell’altro, del diverso, dell’ignoto: anche in questo caso il detto Ianuensis ergo mercator è stato menzionato, ma non ha dato avvio ad alcuna riflessione su cosa sia “genovesità”. Un’altra Genova l’abbiamo fatta nei Paesi dell’America latina (occasione buona per parlare seriamente di Ivano Fossati e di “Italiani di Argentina” invece di presentarlo sempre come un paggio alla corte dell’amico Faber), così come negli Stati Uniti… Senza fermarci mai, nemmeno quando, esauriti i mari, abbiamo spedito nello spazio Franco Malerba, in realtà nato a Busalla; un’indole, una tensione, ancora vive e che oggi hanno la loro incarnazione non in un uomo, ma in un’industria, Leonardo, uno dei fiori all’occhiello della città.

C’è di più e di peggio: la Genova, o meglio i Genovesi, che ha raccontato Augias si affaccia alla storia del mondo solo in epoca rinascimentale. Con buona pace di Gabriella Airaldi, Clario di Fabio, Antonio Musarra e tanti altri studiosi competenti, ieri la Genova medievale è stata del tutto dimenticata, rimossa, accantonata. A parte il solito errato riferimento alle “Repubbliche marinare”, niente Caffaro, primo annalista e cronachista d’Italia, niente “Compagna Communis”, niente Crociate, niente incontro-scontro con il mondo arabo, niente arte, niente notariato: Genova è nata, ex nihilo, con Andrea d’Oria e l’inflazionatissimo “Siglo de los Genoveses”, anche perché sul banco di San Giorgio quale prima Banca di Stato (forse voleva dire pubblica) è francamente meglio stendere un velo pietoso: la storia di Genova è quasi sempre la storia delle sue famiglie e tutto avviene nel recinto dell’iniziativa privata.

Se sono stati trattati con discreto equilibrio e garbo tanto la triste vicenda dell’assassinio di Guido Rossa quanto quella del G8 del 2001, un nuovo urticante omaggio al politicamente corretto lo abbiamo potuto gustare nel racconto del luglio del ’60 e della caduta del governo Tambroni, con solita immancabile citazione del discorso di Sandro Pertini.

Tanto altro ci sarebbe da dire: venti minuti dedicati al disastro della Costa Concordia non sono un bel regalo fatto alla storica industria genovese, così come aver marginalizzato enormemente il ruolo della Chiesa genovese non è stato corretto (almeno Giuseppe Siri, cribbio! Non dico tanto, ma almeno nominarlo!). Quale  parziale scusante si può certo dire che meno di due ore per illustrare la Genova “segreta” sono veramente poche, ma ancora un dubbio mi sorge spontaneo: chi è Mary Shelley?

3 Gennaio 2022 by: Commenta -
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