San Giovanni Battista: le celebrazioni per uno dei Santi patroni della città

Uscito su il Giornale del Piemonte e della Liguria

(25 giugno 2020 )

Sfoglio per gioco in casa di mia mamma un elenco telefonico (vi posso garantire che esistono ancora!), apro a caso una pagina e scopro che tra Camuccini Paolo e Canepa Giuliana ci sono ben 13 Giovanni e 12 Giovanni Battista, che spesso diventano GioBatta, anche se molti genitori non vorrebbero… E tutto sommato hanno ragione: un nome andrebbe sempre proferito nella sua interezza, ma diminutivi, vezzeggiativi, nomignoli, soprannomi e storpiature imperversano sempre ancora. Per Genova Giovanni è un nome importante, evocativo, impegnativo, al pari di Giorgio e Guglielmo: un nome che rivela un particolare attaccamento alla città, ne ricorda le imprese e i protagonisti.
San Giovanni Battista, il precursore, è patrono di molte città d’Italia, di Formia, Ragusa, Sora, Sperlinga, Monterosso Almo, Busto Arsizio e – come è risaputo – di Firenze, Torino e Genova. Alcune ne celebrano il concepimento che rese muto il padre Zaccaria, il 23 settembre, altri la nascita, appunto il 24 giugno, altri ancora il decollamento, il 29 agosto. Si tratta di uno dei santi con il maggior numero di patronati: sarti, conciatori, pellicciai, cardartori della lana, fabbricanti di coltelli, forbici e spade, a ricordare, con venatura vagamente pulp, il suo martirio, e degli albergatori, in memoria del banchetto di Erode Antipa, che fu causa, unitamente alla perfidia di Erodiade e Salomè, della sua condanna… E in questo caso non è detto che gli albergatori siano proprio onorati: insomma, non è certo un’operazione di marketing vincente quella con cui un ospite viene invitato nella casa dove troverà la morte! Tra i tanti che si avvalgono della sua intercessione vale anche la pena ricordare i cantautori: infatti, un inno in suo onore diede a Guido D’Arezzo spunto per i nomi delle note musicali: Ut Re Mi Fa Sol La Si: «UT queant laxis – REsonare fibris – MIra gestorum – FAmuli tuorum – SOLve polluti – LAbii reatum – Sancte Johannes»: «Affinché possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue gesta i servi [tuoi], cancella il peccato dal loro labbro impuro, oh San Giovanni».
A lui sono intitolati alcuni dei più begli edifici religiosi della Penisola, a cominciare dai battisteri di Pisa e, ovviamente, di Firenze, che tanto piaceva anche a Dante («Non mi parean men ampi né maggiori / che que’ che son nel mio bel San Giovanni, / fatti per loco d’i battezzatori») e tra i quali fa bella mostra di sé, senza affatto demeritare, il nostro altare nella Cattedrale di San Lorenzo, quello che custodisce l’arca marmorea del XII secolo contenente le ceneri del Battista. Nelle architetture concepite e cesellate da Pier Domenico da Bissone si rivelano allo sguardo opere di Giovanni D’Aria, Matteo Civitali, Antonio Semino e Teramo Piaggio, mentre l’altare fu terminato dal da Corte e dai Della Porta.
Genova è legata al Battista da quasi mille anni, dal 1099, quando da un convento di Mira, in Licia, alcuni genovesi di ritorno da una spedizione ad Antiochia di Siria, in qualche modo prodromica della Prima lunga crociata dei genovesi, tanto per parafrasare un mio titolo, traslarono in città le sue ceneri, come Iacopo da Varagine racconta nel “Chronicon Ianuense” e poi riprende con maggior precisione nella “Istoria sive legenda traslationis beatissimi Iohannis Baptiste”: con il chiaro intento di fugare ogni dubbio sull’autenticità e veridicità della reliquia, al cospetto della quale piegarono le ginocchia decine di potentati.
San Giovanni è anche protettore “dalle influenze malefiche”, e visto tutto quello che abbiamo passato in questi ultimi mesi la ricorrenza sembra arrivare al momento giusto. Assicura anche la rinascita della luce, certo, ed è il motivo dei tanti falò di San Giovanni che si accendono in tutta Italia proprio intorno alla data del solstizio d’estate, ma ogni cerimonia porta con sé anche il motivo purificatore: speriamo che funzioni e si porti definitivamente via Covid-19 con tutti gli annessi e connessi.
Nonostante tutto, però, quest’anno la ricorrenza avrà un sapore speciale, agrodolce, coincide, infatti, con la Messa di commiato dell’Arcivescovo Angelo Bagnasco: lascia il posto, dopo quattordici anni, a padre Marco Tasca, che si insedierà, diventando Vescovo, sabato 11 luglio. Bagnasco non potrà salutare la città e abbandonarsi al suo abbraccio (i posti disponibili saranno solo 600 e tutti riservati sia in Cattedrale che nelle due Chiese che accoglieranno i maxischermi: la Basilica di Carignano e Santa Zita), non ci sarà nemmeno la consueta suggestiva processione dalla Cattedrale sino al Porto, ma in qualche modo anche lui sarà “precursore” di chi viene dopo di lui. Anche il cardinale Bagnasco è chiamato a preparare la strada al suo successore: padre Tasca, costretto a “cambiare mestiere”, avrà sicuramente bisogno dei consigli di un uomo che a Genova ha trascorso gran parte della sua vita e da dove ha dato avvio a una carriera particolarissima, ma sicuramente appagante.

25 Giugno 2020 by: Commenta -
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